venerdì 20 aprile 2012

Lo psichedelico mondo di Alice visto da Adrian Piper

Adrian Piper è un'artista americana, che da più di vent'anni si occupa di arte concettuale, di performance e di filosofia. Le sue opere sono conosciute e stimate nel panorama artistico internazionale e sono esposte nei più importanti musei del mondo, da Chicago a Parigi, da New York a Los Angeles.
Sia dal punto di vista artistico che da quello filosofico, Adrian Piper ha a cuore il problema della percezione ed è proprio questo, secondo me, l'aspetto più interessante del suo lavoro. Se le sue opere più famose sono espressione di misura e di un ricercato minimalismo, questa definizione non calza minimamente per il trittico intitolato Alice in Wonderland, formato dai dipinti Alice Down the Rabbit Hole, The Mad Hatter's Tea Party e Alice and the Pack of Cards.

Adrian Piper; 
Alice Down the Rabbit Hole
1966
Questi curiosi esperimenti, che di misurato hanno ben poco, vennero scoperti da Robert del Principe ed esposti per la prima volta a Milano nel 2002 nella mostra "Adrian Piper Over the Edge: LSD Paintings and Drawings 1965-1967", che racconta una fase creativa particolare dell'artista. La caratteristica di queste opere, realizzate da Adrian Piper quando aveva circa 18 anni, è il fatto che vennero dipinte sotto l'effetto di LSD. L'accostamento tra il meraviglioso mondo di Alice e il mondo della droga psichedelica risulta decisamente azzeccato se si considera che negli anni '60 l'espressione "Chasing the White Rabbit" (letteralmente "segui il Coniglio Bianco") venne usata come slang per indicare l'assumere LSD (questo modo di dire è stato definitivamente consolidato grazie alla canzone dei Jefferson Airplaine "White Rabbit" del 1967). Non stupisce che nel pieno degli anni '60 Alice divenga la rappresentazione della psichedelia, visto e considerato il fatto che le sue vicende possono essere viste come un viaggio mentale in un mondo fantastico popolato da funghi magici e da un bruco gigante alle prese con un sempre fumante narghilè. Come la bambina dalla fervida fantasia vive un'avventura in un universo personalissimo creato da lei, Adrian Piper indaga il mondo di Alice attraverso l'LSD, che le permette di vedere le cose in modo diverso e di trasferire le sue percezioni sulla tela. L'arte psichedelica, al pari di Alice, diventa quindi la chiave per esplorare il labile confine  tra realtà e percezione, tra sensato e nonsense.
Adrian Piper; 
Alice and the Pack of Cards
1966


Adrian Piper; 
The Mad Hatter's Tea Party, 
1966
In questo trittico caratterizzato dai colori psichedelici e in forte contrasto che si attorcigliano in spirali digradanti, è facile vedere un universo alterato, reso brillante dagli stupefacenti e liberato dal concetto convenzionale di percezione. In Alice in Wonderland mi pare di trovare una notevole corrispondenza con il mondo della op art (optical art) degli anni '60, che gioca con le forme geometriche e il colore per creare un'illusione ottica di movimento.  Le geometrie ripetute e disposte in maniera strategica danno, infatti, lo stesso senso di instabilità  percettiva. Nella scelta personale dei colori, sembra quasi di individuare un'eco di quella libertà cromatica che aveva caratterizzato il movimento espressionista di inizio 1900, che si fonde qui con la ricerca di un'estetica acida e surreale, che avvicina queste opere alle copertine degli album di musica psichedelica molto in voga in questi anni.

Se devo essere sincera, non conoscevo Adrian Piper finchè non sono stata al Mart di Rovereto per vedere la (bellissima) mostra Alice in Wonderland - che tra parentesi consiglio a tutti di visitare perchè ne vale davvero la pena. Passeggiando per le sale, tra le opere che illustrano a loro modo il meraviglioso mondo di Alice, sono rimasta estremamente colpita da questi tre piccoli lavori, che spiccano come fari in mezzo agli altri: provare per credere.

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